Le tecniche della Pittura Fluida

STORIA

Nel XIX secolo, l’arte moderna è emersa come movimento artistico attraverso il rifiuto dei metodi artistici tradizionali e l’adozione di nuove idee nella pittura, tralasciando l’uso convenzionale del pennello.
In questo contesto nasce l’arte fluida quando, negli anni ‘30, l’artista messicano David Alfaro Siqueiros esercita per la prima volta la sua tecnica di “Pittura accidentale” versando semplicemente colori diversi su un pannello di legno e permettendo ai colori di diffondersi, fondersi e infiltrarsi l’uno nell’altro.
Siqueiros si innamora subito del risultato estetico del suo esperimento, ma quello che lo entusiasma ancora di più è la scienza che c’è dietro al movimento di quella vernice. Per questo, attraverso la sperimentazione ne studia alcuni meccanismi.
Nel 1936 Siqueiros propone un laboratorio di questa nuova tecnica e il famoso pittore americano Jackson Pollock, allievo di Siqueiros e presente al workshop, sviluppa il suo caratteristico stile di dripping.

L’ARTE FLUIDA E LA SCIENZA

Nel 2013 Roberto Zenit, professore di fisica presso l’Università Nazionale Autonoma del Messico, fu ingaggiato dalla storica dell’arte Sandra Zetina per un progetto: usare la fluidodinamica per scoprire il segreto dietro le moderne tecniche artistiche.

I due studiosi, attraverso vari esperimenti, sono giunti a delle conclusioni interessanti: la miscelazione e l’infiltrazione dei colori derivano da uno squilibrio tra le densità delle vernici. Quando un fluido più denso riposa sopra uno meno denso, il fluido superiore vuole spostarsi verso il basso, provocando la miscelazione dei due fluidi.

L’instabilità di Rayleigh–Taylor, o instabilità RT (dai fisici Lord Rayleigh e G. I. Taylor), è un’instabilità di un’interfaccia tra due fluidi di diverse densità che avviene quando il fluido più leggero spinge il fluido più pesante.

PER SAPERNE DI PIU’:

Gli strumenti per l’incisione

Acquaforte e puntasecca

Per queste tecniche sono necessarie delle punte, di varia grandezza e forma, solitamente d’acciaio.

Nel caso dell’acquaforte le punte hanno il solo scopo di rimuovere la vernice per l’acquaforte dalla matrice metallica. Sarà l’acido, corrodendo, a produrre il solco nel metallo.

Nel caso della puntasecca invece è la mano dell’artista a produrre i solchi, dunque la punta va usata per sgraffiare la superficie metallica o di plexiglass.

Maniera nera o mezzotinto

Per questa tecnica sono necessari sostanzialmente 3 strumenti:

Il berceaux o rocker, necessario a preparare la matrice, ovvero a produrre la sua granitura. Si tratta di strumenti in acciaio che vanno mantenuti affilati.

Il raschietto, necessario a “radere” le barbe di metallo sollevate dal berceaux durante la granitura.

Il brunitoio, adatto ad appiattire le barbe e a lucidare la superficie della matrice di metallo.

Bulino

Questo strumento dà il nome anche alla tecnica, e viene adoperato sia su matrici di metallo che di legno. E’ in acciaio e va mantenuto affilato. Può avere varie forme che producono segni diversi.

Sgorbie

Sono destinate alla xilografia e alla linoleografia, hanno il compito di rimuovere il legno o il linoleoum dalla matrice. Anche queste sono in acciaio e vanno mantenute affilate. Hanno forme diverse che producono segni diversi.

Pietre per affilare

Ce ne sono di vari tipi, vanno usate con gradazioni sempre più fine per ottenere la migliore affilatura delle lame.

La matrice

Cosa è?

E’ una lastra (di metallo, legno o linoleoum) su cui viene depositato dell’inchiostro e che può essere stampata in più copie grazie alla pressione esercitata dal torchio.

Nella calcografia vengono utilizzate matrici di metallo quali il rame, lo zinco, l’ottone, l’alluminio, il ferro e l’acciaio. L’inchiostro si deposita nei solchi delle matrici calcografiche e, durante la fase di stampa e grazie alla pressione del torchio, l’inchiostro si trasferisce sul foglio di carta.

Nelle tecniche di stampa quali la xilografia e la linoleografia invece, l’inchiostro viene depositato sulla matrice attraverso un rullo, dunque viene inchiostrata la superficie della matrice, mentre i solchi restano vuoti e puliti. Per questo motivo si chiama stampa in rilievo. Durante la fase di stampa con il torchio, l’inchiostro si trasferisce dalla superficie della matrice alla carta.

Ma quante copie si possono fare con una matrice?

Questa è una domanda che viene spesso fatta.

La risposta è “dipende…”

Le matrici in metallo duro come l’acciaio, l’ottone e il rame, possono sopportare il logorìo di molte stampe, purchè lo stampatore operi in modo accorto. Si possono raggiungere e superare le 100 copie.

Le matrici in metalli più teneri, quali lo  zinco e l’alluminio, sopportano meno il logorìo del processo di stampa. Certamente meno di 100 copie.

Le matrici in plexiglass sono molto delicate e si possono usare per la puntasecca. Il numero delle copie si riduce drasticamente a meno di 10.

Le matrici in linoleoum sono più delicate, ma non necessitano molta pressione in fase di stampa e possono sopportare almeno 50 copie, purché stampate con cura ed attenzione.

Infine le matrici in legno (sono quelle tradizionalmente usate nell’antichità) possono dare origine a più copie in relazione al tipo di legno. I legni provenienti da alberi da frutto quali pero, noce, melo, ciliegio, faggio, sono quelli più resistenti.

Feltro per il torchio

Cosa è?

Il feltro è una stoffa piuttosto particolare, realizzata con fibre animali. Non è un tessuto in quanto non proviene da un intreccio ordinato di fili (trama/ordito al telaio) ma viene prodotto con l’infeltrimento delle fibre. Di solito si usa la lana cardata di pecora. Il feltro è caldo, leggero e impermeabile.

Le fibre vengono bagnate con acqua calda, intrise di sapone e manipolate (battute, sfregate, pressate) fino ad ottenere, con processi meccanici e chimici, l’infeltrimento. La loro legatura è data dalla compenetrazione delle microscopiche squame corticali che rivestono la superficie dei peli. Il processo è progressivo ed irreversibile. Il feltro tradizionale è del colore dei peli usati, perciò ha un colore che varia dal bianco avorio al beige chiaro.

A cosa serve?

Nelle tecniche di stampa calcografiche, che presuppongono l’uso di un torchio, il feltro serve ad attutire la pressione che il rullo esercita sulla matrice e sulla carta, evitando che quest’ultima si laceri, ma serve anche ad accompagnarla affinché, sotto pressione, raccolga l’inchiostro dei solchi della matrice.

Tradizionalmente i feltri usati in un torchio calcografico sono 3. Nella figura la loro posizione, le funzioni e le caratteristiche.